Quando abitavo nelle Marche mio padre era abbonato ad Epoca, settimanale della Mondadori veramente ben fatto soprattutto nei servizi fotografici. Ricordo un bellissimo servizio sulla conquista del K2, un altro sull'affondamento della Andrea Doria.
La conferma dell'abbonamento per l'anno successivo comportava il diritto a ricevere un libro, in genere a copertina rigida e in edizione lusso, che arrivava nelle case poco prima di Natale.
Ricordo "I promessi sposi" - copertina rigida giallo chiaro - "Il Donchisciotte" - stessa presentazione grafica - "La Divina Commedia" con illustrazioni di Gustavo Dorè (la l'ho davanti agli occhi adagiata su altri libri). E ricordo un libro con cinque opere teatrali di Shakespeare, tra le quali il "Giulio Cesare".
Apro una parentesi: il "Donchisciotte" è il primo libro che ho letto nella mia vita. Ho iniziato a Gennaio dopo l'epifania ed ho terminato ad Aprile. Quando ho iniziato avevo sette anni e quattro mesi.
Il "Giulio Cesare" dicevo, la tragedia del "dittatore" che rimane solo nel momento in cui cade, solo e allibito per il "tradimento", lui lo vede così, di coloro che più gli devono.
La tradizione riporta che Giulio Cesare come ultima frase abbia pronunciato la famosa "Quoque tu, Brute, fili mi";amareggiato dall'aver riconosciuto tra i congiurati Bruto, si coprì il viso con la veste e non oppose più resistenza. Erano le idi di Marzo dell'anno 44 a.c.
Premesso che le vicende di Cesare e di Mussolini non sono comparabili agli accadimenti di questi giorni (stature non comparabili) resta invece il comune denominatore della solitudine in cui si trova chi ha governato dispoticamente quando la sua stella tramonta. E sono i più vicini e quelli che hanno avuto di più ad essere più determinati e più cattivi. Niente cambia sotto il sole. L'animo umano ha pieghe che non risentono del tempo e Shakespeare, che ha indagato l'animo umano come nessun altro ha mai fatto, è il miglior tramite per capire.
Il "Giulio Cesare" dicevo, la tragedia del "dittatore" che rimane solo nel momento in cui cade, solo e allibito per il "tradimento", lui lo vede così, di coloro che più gli devono.
La tradizione riporta che Giulio Cesare come ultima frase abbia pronunciato la famosa "Quoque tu, Brute, fili mi";amareggiato dall'aver riconosciuto tra i congiurati Bruto, si coprì il viso con la veste e non oppose più resistenza. Erano le idi di Marzo dell'anno 44 a.c.
Premesso che le vicende di Cesare e di Mussolini non sono comparabili agli accadimenti di questi giorni (stature non comparabili) resta invece il comune denominatore della solitudine in cui si trova chi ha governato dispoticamente quando la sua stella tramonta. E sono i più vicini e quelli che hanno avuto di più ad essere più determinati e più cattivi. Niente cambia sotto il sole. L'animo umano ha pieghe che non risentono del tempo e Shakespeare, che ha indagato l'animo umano come nessun altro ha mai fatto, è il miglior tramite per capire.
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