La pubblicazione del post numero 2.000 dedicato ad Ostra, alle mie radici, ha fornito lo spunto all'ex collega ed amico carissimo e stimatissimo Patrizio Lattanzio per inviarmi un suo scritto in cui parla delle "sue"radici. Patrizio è più giovane di me di tre anni ed è in Abruzzo che affondano le origini della sua famiglia ed i suoi riccordi di infanzia. Pubblico lo scritto, dopo avergliene chiesto ovviamente autorizzazione, innanzitutto perché è un bel racconto e perché conferma l'esigenza di ciascuno di noi, soprattutto ad un certo punto della vita, a cercare l'essenza, ad andare al nocciolo di quella unica e irripetibile esperienza che chiamiamo vita.
Patrizio adesso vive in Lussemburgo con sua moglie, ha un figlio che lavora in Cina dopo aver lavorato alcuni anni in Ferrari a Maranello, una figlia che vive e lavora in Francia. Il suo è il tipico esempio di una famiglia internazionale che forse proprio per questo ha "bisogno" più di altre di non perdere le radici.
Cura ut valeas amico mio. Un abbraccio
"Mio nonno materno, Giovanni
Colella, ripeteva spesso che la lepre vuole morire dove è nata.
Ero ragazzo quando, negli anni
’60, trascorreva da molto anziano dei periodi di tempo a Roma a casa nostra o a
casa di mio zio Gennaro, e a me sembrava strano che, pur in presenza di figli e
nipoti amati, non desiderasse altro che di rientrare a casa sua, a Corfinio;
anzi, come diceva lui, a Pentima.
Ricordo con affetto quegli anni;
si arrivava da Roma in Fiat 600 dopo un viaggio di 4/6 ore, a seconda di quanti
camion si incontrassero lungo la Tiburtina Valeria sulle rampe di Tivoli, Colli
di Monte Bove e Forca Caruso.
Mio padre, poi, amava guidare di
notte ed allora, ogni volta, sveglia alle 3, partenza, piacevole stop all’alba
presso un fornaio di Tagliacozzo che serviva una pizza al pomodoro dal gusto
squisito.
Più tardi, sosta alla fontana
presso il ponte sull’Aterno, sopra Raiano, perché mamma voleva che noi ragazzi
arrivassimo in paese dagli zii con il viso ben lavato ed i capelli in ordine.
Dolci ricordi ! Quando mi capita
di passare su quel ponte sono sempre incerto se fermarmi o meno a quella
fontana, sempre così uguale nel tempo.
Ogni tanto, poi, accadeva di fare
il viaggio in treno e per noi ragazzi era un altro balzo nel paese delle
meraviglie. La linea Roma – Sulmona, naturalmente a vapore e inaugurata
nell’estate del 1888, era costellata di linde e fiorite stazioncine i cui
capistazione si facevano un punto d’onore per primeggiare fra loro nel decoro,
pulizia ed accoglienza della propria struttura.
Esisteva al riguardo un vero e
proprio concorso a premi lanciato dalle Ferrovie dello Stato.
L’improvviso colpo d’occhio sulla
Valle che si riceveva uscendo dalla lunga galleria di Goriano Sicoli, il caratteristico
tunnel traforato attraversato prima di percorrere il lungo viadotto sul
Sagittario, erano per tutti i viaggiatori un’emozione viva.
Tutto ciò oggi sembra assurdo; il
progresso economico, le autostrade, il clima hanno cambiato drasticamente
l’ambiente, il paesaggio, le persone.
Quando si arrivava a Corfinio,
specie d’inverno, l’aria aveva, come dire, un profumo di paese impregnato del
buon odore dei camini che si sposava a meraviglia con la vista degli uomini
che, soprattutto la domenica e i giorni di festa, se ne stavano in piazza, a gruppi,
avvolti nei tabarri neri, fumando sigari o trinciato di Alfa nelle loro pipe e
lanciando a intervalli regolari, a causa di quel tabacco di pessima qualità, lunghi
getti di saliva.
In primavera, poi, quando la
fioritura delle vigne era minacciata da pericolose gelate, la piazza si
riempiva di una varietà di strane stufe che servivano, credo, una volta
trasportate in campagna a creare uno strato di fumo denso utile a proteggere le
piante dal gelo.
Sistemi antichi, oggi scomparsi,
che rivelano l’ingegno di tante persone che ci hanno preceduto, così come ciò
che si faceva un tempo a Popoli per proteggere dal gelo negli orti le verdure
invernali, inondando i campi con l’acqua dell’Aterno/Pescara con quella pratica
del “calidare” che, facendo scorrere l’acqua in lento movimento, impediva la
formazione dei cristalli di ghiaccio all’interno dei fusti delle piante.
Diversamente da mio fratello non
sono nato a Corfinio, ma mamma era di Corfinio e babbo di Popoli; di
conseguenza mi sono sempre considerato uno della Valle.
Il mio lavoro mi ha portato a
vivere in tante città, in Italia e all’estero, ma sento sempre vivo il desiderio
di respirare almeno una volta l’anno l’aria di queste contrade senza peraltro
dimenticare o sottostimare il grande valore, le meravigliose esperienze vissute
in altri luoghi, città e nazioni dove il desiderio di conoscere, imparare e quindi migliorare ci ha condotto.
Forse siamo proprio come la lepre
di cui parlava nonno Giovanni.
Frantumare fra le mani la terra
dei campi sotto il lavatoio Galli Zugaro dove, da ragazzo, insieme a mio zio
Alessandro ho raccolto pomodori, peperoni, uva; osservare un’attuale civile abitazione
in via Valva e ricordarla come quando era la stalla della casa materna dove, un
6 gennaio di tanti anni fa aiutai (per modo di dire perché avevo 9/10 anni) a
far nascere un bellissimo vitello al quale, vista la data, venne imposto il
nome di Epifanio, sono sensazioni dolci e amare che hanno il sapore della vita.
E’ bello rivedere i nostri monti,
i nostri fiumi, gli stessi paesaggi che hanno accompagnato la vita dei nostri
avi, vicini ed anche molto molto lontani; in quei momenti di meditazione e di
riflessione sembra che essi non siano in effetti così distanti.
Mio figlio Mattia ride di gusto
quando ogni tanto gli dico, un po’ per celia e un po’ sul serio, che
passeggiando per le vie di Corfinio e di Popoli mi sembra di incontrare dei
visi familiari, non solo degli zii e dei nonni dei quali ovviamente ricordo
bene le fattezze, ma anche di bisavoli, trisavoli e arcavoli sconosciuti che
sembra mi dicano: anche noi abbiamo vissuto in questi bei luoghi, abbiamo
gioito ed abbiamo sofferto e siamo felici a nostra volta di incontrarti e di
capire che il nostro amore per queste terre non è finito con noi.
Terre bellissime che, però, hanno
pagato dazi pesanti alle crisi economiche ed alle guerre; nei decenni a cavallo
del 1900 anche tanti dei nostri paesani dovettero prendere la dura decisione di
emigrare.
Decisione durissima perché legata
alla motivazione che ne è alla base; se si emigra di propria volontà per andare
a cogliere nuove opportunità di vita e di lavoro tutto è molto bello e facile;
se si emigra per fame almeno la prima generazione vive certamente una vita
d’inferno.
Non posso dimenticare, a questo
riguardo, diversi viaggi in treno nei primi anni ’80, fra Roma e Lussemburgo,
allora mia sede di lavoro bancario, dove incontravo regolarmente degli italiani
anziani che, dopo una visita al loro paese di origine, rientravano in Belgio
dove avevano trascorso una dura vita lavorando per gran parte nelle miniere e
nelle fonderie della regione.
A me, “emigrante di lusso”,
piaceva parlare con loro; erano uomini e donne fuori dal tempo che avevano
vissuto la loro esperienza di vita e di lavoro chiusi a riccio nel loro nuovo
ambiente, e che nelle loro abitudini di linguaggio, di abbigliamento e di
comportamento, erano rimasti fermi al tempo della loro emigrazione, rifiutando
per difesa mentale qualsiasi evoluzione personale e culturale.
Uomini e donne immobili,
stranieri anche in Patria.
In un mondo nel quale oggi parlo
con mio figlio in Cina in tempo reale, ricordo quanto mi raccontava mio padre delle
molte partenze, nei suoi anni giovanili, di membri di famiglie di Popoli per le
Americhe (come si diceva una volta).
Si trattava di scene
perfettamente assimilabili ad una cerimonia funebre, dove persone che si
amavano, si dicevano addio abbracciandosi e piangendo sapendo, con ogni
probabilità, di mai più rivedersi e dove anche l’attesa di una lettera poteva
durare mesi.
A rendere più penosa questa
nostra emigrazione contribuiva anche la destinazione scelta dalle nostre genti,
in gran parte America del Nord ed America del Sud, contrariamente a quanto
accadeva per molti italiani delle regioni settentrionali che privilegiavano,
per lo più, una emigrazione stagionale in alcuni Paesi d’Europa.
Come succede nelle scelte
imponderabili del caso, anche mio fratello ed io, e quindi anche la mia
progenie, dobbiamo la vita ad una scelta, ad una decisione altrui, così come
accade comunque per almeno altri 7 miliardi di persone, senza contare i
precedenti.
Nostro nonno paterno, Bonifacio,
partì per le Americhe con suo fratello Francesco con uno dei tanti vapori che
salpavano da Napoli, subì la trafila di Ellis Island e visse per qualche anno a
New York.
Per inciso, oggi sul web è
possibile rintracciare date, nomi dei vapori e nomi dei viaggiatori risultanti
dagli archivi americani.
L’amore però per Maria Carmine fu
più forte e, contrariamente a suo fratello rimasto negli States e mai più rientrato,
tornò a Popoli.
Certamente questo gli comportò la
partecipazione alla guerra di Libia nel 1911 ed all’intera Grande Guerra nei
ranghi dell’8° Reggimento Alpini, Battaglione Cividale; combatté in trincea nelle
11 battaglie dell’Isonzo e soprattutto in quelle per la conquista della testa
di ponte austriaca di Tolmino, nome che fu imposto in ricordo a mio padre nato
appunto nel novembre del 1915.
Decisamente sfortunato fu invece
in quella circostanza Casimiro, fratello minore del nonno materno Giovanni.
Ragazzo del ’99 fece parte
dell’ultimo scaglione richiamato a combattere dopo la disfatta di Caporetto.
Aveva solo 18 anni, arrivato sulla
linea del fuoco il 17 novembre 1917,
scomparve lo stesso giorno; il suo nome, oggi, fa compagnia a quelli degli
altri Caduti sul monumento in Piazza.
/---/
Vite di persone care, di parenti,
di paesani e sconosciuti fuse insieme in una nuvola di ricordi da cui ogni
contemporaneo può attingere o aggiungere, come fossero ombre vaganti, attimi
piacevoli, ricordi di amicizie, di calore umano e di dolori pungenti. Una
nuvola chiamata Corfinio.
/---/
Il nostro borgo gravita
naturalmente su Sulmona, centro economico e culturale della Valle; sono infatti
ormai solo nell’archivio della storia le rivalità secolari fra i Capitoli di
San Panfilo e di San Pelino.
E’ casa nostra, è casa mia; non per
nulla questo suggestivo verso ovidiano appare nell’ ”ex libris” che appongo sui
miei libri : “Sulmo mihi patria est
gelidis uberrimus undis”.
Patrizio Lattanzio"
Grazie Alby, vale
RispondiElimina