Dal primo impatto con l'annuario sono emersi ricordi di compagni e compagne. E i professori? Faccio una premessa: il Perticari veniva unanimemente considerato un ottimo liceo dove si studiava molto e dove i professori "pretendevano"molto. Visto a posteriori non mi sembra che ci fosse una qualità così elevata. Certo è, invece, che ci fosse molta serietà e una disciplina di ferro. Preside, nei miei anni, era una signora piccolissima di statura, si chiamava Ilda Finzi Buonasera e era un "sergente di ferro". Si diceva che aveva vissuto il trauma dei campi di concentramento nazisti e questo ne giustificava gli eccessi. Al ginnasio il punto di riferimento fu il prof.Grifa. Ci faceva italiano, latino, greco, storia; metà delle ore le passavamo con lui. Ne ho un ottimo ricordo anche se una volta la settimana ci interrogava, noi dei primi banchi, sui verbi irregolari greci. Era un tormentone. Si andava alla lavagna e "orao, opopa, ommai" e così via. Al liceo una varietà di professori. Il prof.Drago insegnava matematica e fisica, era siciliano, era al termine della carriera e soffriva di arteriosclerosi. Ogni tanto mentre era alla lavagna a spiegare un teorema si inceppava e non riusciva ad andare avanti. Noi capivamo e restavamo in assoluto silenzio. Dopo un po' aveva un gesto di stizza nei confronti di se stesso e ci diceva che avrebbe continuato la lezione successiva. Ma il prof. Drago era famoso per i giorni delle "stragi."Capitava che ci chiedesse delle cose tipo "Cosa è il segno meno?" Becci rispondi...............e la povera Daniela si arrampicava per dare una risposta plausibile. E lui: non capisci niente, ti do "cuaccio". Pericoli, rispondi: professore il segno meno è...................... No, no tutto sbagliato. Ti do ctre-Pirani allora cosa è il segno meno. Professore è......................Non capisci niente ctre.E così avanti. Il segno meno, ignoranti che non siete altro, è una lineetta. Per fortuna i voti di quei giorni non facevano media- Ma grande era la soddisfazione di noi maschi perché nei giorni delle stragi anche le "bravissime" prendevano delle sonore insufficienze, altrimenti impensabili.
Poi c'era il professor Curi di scienze. Professore non ho capito. Non c'è niente da capire, tutto da studiare. .............Professore, non ho studiato. Non c'è niente da studiare, tutto da capire. E allora? Comunque la chimica la spiegava bene. Curi aveva un'altra caratteristica. Tutti i giorni dell'anno, nessuno escluso, faceva un bagno in mare. Vi assicuro che a Gennaio a Senigallia fa freddo ed il mare..............immaginatelo voi.
Il professore di italiano, al liceo, era Giuseppe Amati, il papà di Silvana. Gli anni che lo avemmo noi come docente non furono certo quelli in cui si espresse al meglio per pesanti problemi personali. Sono cose lontane e comunque di dominio pubblico per cui non violo alcunché a riferirle. Il prof. Amati era preside delle magistrali ed aveva intrecciato una relazione con una studentessa minorenne, la sorella del mio compagno di banco. Ve lo immaginate lo "scandalo"in una città di provincia dei primi anni sessanta? Aveva dovuto lasciare l'incarico alle magistrali ed era arrivato al Perticari dove in classe aveva la figlia Silvana, nei confronti della quale doveva mostrarsi assolutamente imparziale per non dare adito a commenti negativi, ed il fratello della persona per la quale aveva lasciato la moglie.Debbo riconoscere che gestiva la situazione con molto equilibrio e con molta leggerezza. Aveva una caratteristica: ci chiamava per nome e quando riconsegnava i temi corretti ci chiamava alla cattedra e li riconsegnava commentando il lavoro. Una volta, arrivato il mio turno mi chiamò tutto allegro:Albertino vieni Visto il tono allegro ero sicuro di aver preso un bel voto.Quattro più, nelle note che ti ho messo capirai il perché-
Latino e greco ce li faceva il professor Gambini: cattolico vicino alla nascente "Gioventù Studentesca" di Don Giussani. Strano personaggio. Storia dell'Arte era materia della professoressa Giambartolomei della quale ricordo una frase ricorrente: "Notate il panneggio"
Ma l'insegnante che più ha contribuito a formarmi ed alla quale sento di dovere molto è stata la professoressa Giuseppina Giomini, storia e filosofia. Una austera signorina poco più che cinquantenne magra e con capelli grigi riuniti a crocchia che ci dava del lei. Spiegava filosofia camminando tra i banchi e fumando durante un'ora di lezione una o due sigarette puzzolenti come poche. Camminando tra i banchi mi dava l'impressione di una moderna Socrate che esercitasse su di noi la "maieutica", come una levatrice che cercasse di far venire alla luce il meglio che c'era in noi. Kantiana fin nel midollo, vicina all'idealismo tedesco (in seconda liceo adottò come uno dei testi "la missione del dotto" di Fichte,) cercava - l'ho capito dopo - di formarci come menti autonome e come cittadini consapevoli. Mi voleva bene: non me lo ha mai fatto capire ma il fatto che mi sopravalutasse (non valevo gli otto che mi dava) era forse dovuto al fatto che aveva intravisto delle qualità in me e, sapendo che venivo da un piccolo paese e da una famiglia di modesto livello culturale (i miei genitori si erano fermati all'ottava), il largheggiare nel giudizio poteva voler essere un aiuto ed un incoraggiamento a colmare il gap iniziale, a vivere i miei studi come ascensore sociale oltreché come momento formativo. Non so se quello che sento corrispondesse alla realtà; so solamente che quello che sono lo debbo in buona parte al suo magistero. Ed infatti ogni tanto mi capita di dire, di fronte a certe mie intransigenze, " a me mi ha rovinato la Giomini"Mi hanno detto che è mancata solo pochi anni fa, molto anziana. Le debbo molto e mi piace riconoscerlo pubblicamente.
Questi i professori, questo l'ambiente di un liceo degli anni sessanta.
E gli amori? mi ha sollecitato via mail una cara amica. Degli amori, le ho risposto, meglio parlarne a voce e non su un blog.
Una notazione finale. L'annuario contiene un bellissimo contributo di Roberto Paradisi. Non lo conosco: scrive benissimo ed ha una cultura digerita, assimilata, diventata "fondante" della sua personalità. Nel suo intervento riporta uno stralcio dell'articolo scritto dal prof.Amati in occasione dell'annuario del 125° - venticinque anni fa; parole bellissime che vi giro senza commenti:
E' nostro , di oggi, il dramma di Ulisse, di Dante, di Galileo, nostra l'ira e il pianto di Achille, nostro lo strazio di Andromaca, nostra la pena esistenziale di Lucrezio, di Virgilio, di Seneca"
In quel nostro, osserva Paradisi, c'è tutto il senso della cultura classica.Condivido, senza alcun dubbio
Dall'hotel Ritz di Senigallia.
Il professore di italiano, al liceo, era Giuseppe Amati, il papà di Silvana. Gli anni che lo avemmo noi come docente non furono certo quelli in cui si espresse al meglio per pesanti problemi personali. Sono cose lontane e comunque di dominio pubblico per cui non violo alcunché a riferirle. Il prof. Amati era preside delle magistrali ed aveva intrecciato una relazione con una studentessa minorenne, la sorella del mio compagno di banco. Ve lo immaginate lo "scandalo"in una città di provincia dei primi anni sessanta? Aveva dovuto lasciare l'incarico alle magistrali ed era arrivato al Perticari dove in classe aveva la figlia Silvana, nei confronti della quale doveva mostrarsi assolutamente imparziale per non dare adito a commenti negativi, ed il fratello della persona per la quale aveva lasciato la moglie.Debbo riconoscere che gestiva la situazione con molto equilibrio e con molta leggerezza. Aveva una caratteristica: ci chiamava per nome e quando riconsegnava i temi corretti ci chiamava alla cattedra e li riconsegnava commentando il lavoro. Una volta, arrivato il mio turno mi chiamò tutto allegro:Albertino vieni Visto il tono allegro ero sicuro di aver preso un bel voto.Quattro più, nelle note che ti ho messo capirai il perché-
Latino e greco ce li faceva il professor Gambini: cattolico vicino alla nascente "Gioventù Studentesca" di Don Giussani. Strano personaggio. Storia dell'Arte era materia della professoressa Giambartolomei della quale ricordo una frase ricorrente: "Notate il panneggio"
Ma l'insegnante che più ha contribuito a formarmi ed alla quale sento di dovere molto è stata la professoressa Giuseppina Giomini, storia e filosofia. Una austera signorina poco più che cinquantenne magra e con capelli grigi riuniti a crocchia che ci dava del lei. Spiegava filosofia camminando tra i banchi e fumando durante un'ora di lezione una o due sigarette puzzolenti come poche. Camminando tra i banchi mi dava l'impressione di una moderna Socrate che esercitasse su di noi la "maieutica", come una levatrice che cercasse di far venire alla luce il meglio che c'era in noi. Kantiana fin nel midollo, vicina all'idealismo tedesco (in seconda liceo adottò come uno dei testi "la missione del dotto" di Fichte,) cercava - l'ho capito dopo - di formarci come menti autonome e come cittadini consapevoli. Mi voleva bene: non me lo ha mai fatto capire ma il fatto che mi sopravalutasse (non valevo gli otto che mi dava) era forse dovuto al fatto che aveva intravisto delle qualità in me e, sapendo che venivo da un piccolo paese e da una famiglia di modesto livello culturale (i miei genitori si erano fermati all'ottava), il largheggiare nel giudizio poteva voler essere un aiuto ed un incoraggiamento a colmare il gap iniziale, a vivere i miei studi come ascensore sociale oltreché come momento formativo. Non so se quello che sento corrispondesse alla realtà; so solamente che quello che sono lo debbo in buona parte al suo magistero. Ed infatti ogni tanto mi capita di dire, di fronte a certe mie intransigenze, " a me mi ha rovinato la Giomini"Mi hanno detto che è mancata solo pochi anni fa, molto anziana. Le debbo molto e mi piace riconoscerlo pubblicamente.
Questi i professori, questo l'ambiente di un liceo degli anni sessanta.
E gli amori? mi ha sollecitato via mail una cara amica. Degli amori, le ho risposto, meglio parlarne a voce e non su un blog.
Una notazione finale. L'annuario contiene un bellissimo contributo di Roberto Paradisi. Non lo conosco: scrive benissimo ed ha una cultura digerita, assimilata, diventata "fondante" della sua personalità. Nel suo intervento riporta uno stralcio dell'articolo scritto dal prof.Amati in occasione dell'annuario del 125° - venticinque anni fa; parole bellissime che vi giro senza commenti:
E' nostro , di oggi, il dramma di Ulisse, di Dante, di Galileo, nostra l'ira e il pianto di Achille, nostro lo strazio di Andromaca, nostra la pena esistenziale di Lucrezio, di Virgilio, di Seneca"
In quel nostro, osserva Paradisi, c'è tutto il senso della cultura classica.Condivido, senza alcun dubbio
Dall'hotel Ritz di Senigallia.
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