Si fa sempre più incandescente il dibattito intorno ai numeri del DEF e della conseguente legge di bilancio.E ciascuna forza politica, ciascun parlamentare ed in particolare i leaders dei partiti tendono giustamente a mettere in evidenza i numeri che sembrano dar loro ragione. I 5 stelle, ad esempio, enfatizzano molto la loro iniziativa di "abolizione" dei vitalizi ai parlamentari. Iniziativa del tutto condivisibile sul piano dei princìpi e che farà risparmiare ai conti pubblici 40 milioni l'anno per quanto attiene ai deputati (lo hanno ripetuto a più riprese in questi giorni Fico, Di Maio, Tominelli ed altri esponenti di vertice del movimento.)
Occorre fare innanzitutto una premessa: chiarito che per gli eletti dopo il 2012 non c'è vitalizio, il problema riguarda gli ex parlamentari ai quali il vitalizio è stato calcolato con il sistema retributivo e che verrebbe ricalcolato con il contributivo. Si tratta quindi di un ricalcolo e non di una abolizione; sono 2.700 circa le posizioni interessate tra Camera e Senato
E allora corre l'obbligo di chiedersi: ma aldilà della questione di principio, quale è l'impatto pratico della misura sui conti dello Stato? Basta fare "due conti".
Il debito pubblico ha raggiunto a fine Luglio l'ammontare di 2341 mld con un aumento di 78 milardi rispetto al 31 Dicembre 2017. 78 mld sono 78.000 milioni: il debito pubblico è aumentato nel 2018 di 78.000 milioni in 210 giorni, cioè 371 milioni al giorno. Se così è il risparmio annuale derivante dall'abolizione dei vitalizi viene bruciato in un paio d'ore. A me viene il sospetto che i problemi del nostro Paese siano altri e altre le urgenze pur restando pienamente favorevole, sul piano dei princìpi, all'abolizione dei vitalizi.
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