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giovedì 26 marzo 2009

LA CRISI - LA CRISI INDUSTRIALE - VI POST

Dopo aver affrontato gli aspetti etici e gli aspetti finanziari della crisi in atto, cercherò ora di affrontare l'aspetto industriale e l'impatto che gli accadimenti di questi ultimi mesi hanno avuto e stanno avendo sull'economia reale.
Fallita in Settembre la Lehman, emerso un quadro terrificante dei guasti provocati dalla "finanza" a livello internazionale, in tutto il mondo ci si è resi conto, drammaticamente, che:
a) erano stati distrutti risparmi per cifre colossali conseguenti al crollo dei corsi azionari, allo scoppio della bolla speculativa finanziaria e immobiliare, all'azzeramento di valore di quelli che sono poi stati definiti titoli tossici, ABS e CDO in primis, che erano finiti nei portafogli delle banche, dei fondi pensione, delle società assicurative ed in quelli di milioni di famiglie inconsapevoli in tutto il mondo;

b) si era venuta a creare una situazione di incertezza e di sfiducia assoluta degli investitori nei confronti degli intermediari finanziari;

c) per la prima volta nel dopoguerra si prospettava una situazione di recessione prolungata e di incerta durata;

d) non c'era più alcuna certezza sul futuro alla luce di un presente così fosco.

La reazione dei consumatori a livello mondiale è stata conseguente e univoca: in tutto il mondo i consumi hanno cominciato a contrarsi a velocità crescente e si è innescata la più grave recessione da debolezza di domanda dopo quella del '29.In poche settimane si è diffuso dappertutto, in un contesto di informazione globalizzata che "trasporta" in tempo reale notizie e valutazioni, un atteggiamento che definirei oscillante tra l'estrema prudenza e la vera e propria paura che ha provocato una immediata e sensibile contrazione della domanda complessiva. Di conseguenza, un settore portante come l'auto registra cali di ordini e di fatturato per percentuali superiori al 30%; altri settori di primario rilievo "si fermano" e la macchina produttiva mondiale(Cina e Corea soprattutto) rallenta drasticamente le propri percentuali di sviluppo. Inizia così una fase recessiva che è attualmente nella sua massima virulenza e che sta provocando perdita di lavoro e di posti di lavoro, un'ulteriore contrazione dei consumi e un ulteriore avvitamento della situazione su se stessa.

Attualmente ci troviamo nel pieno di questa fase tanto che, per restare al nostro paese, recentissime analisi di Confindustria delineano un quadro, per il 2009, estremamente tetro e così sintetizzabile:

- diminuzione del PIL del 3,5%

- rapporto deficit/PIL al 4,8%(ricordo che il trattato di Maastricht fissa il limite al 3%)

- debito /PIL che risale ad un drammatico 112,5%

- disoccupazione che risale all'8,5%

- inflazione allo 0,8%, bassa per carenza di domanda

Va ricordato al riguardo che nell'ultimo decennio l'Italia ha conosciuto percentuali di sviluppo tra le più basse dei paesi industrializzati, una progressiva perdita di competitività, un rientro lento e del tutto insufficiente del debito pubblico cosicchè l'emergenza colpisce un organismo già debilitato e complessivamente gracile con un sud che ha accentuato nel nuovo millennio il suo divario dalla parte più avanzata del paese.

Quali misure si possono adottare per uscire da questa situazione? Quanto durerà la attuale fase?

La risposta a queste due domande, per quanto attiene al nostro paese, si può, in estrema sintesi, così articolare:
1) molto dipenderà dal contesto internazionale e dalla capacità della amministrazione OBAMA e di quelle degli altri principali paesi produttori di ricreare quanto prima un clima di fiducia che poggi sulla "eliminazione"dai circuiti finanziari di tutte le istituzioni, persone, prodotti che hanno prodotto i guasti che tutti noi abbiamo provato sulla nostra pelle. In particolare ritorni la fiducia
nel sistema bancario e del sistema bancario al suo interno in modo che cessi l'allarme che ha prodotto la paralisi operativa dei mesi scorsi;
2) sarebbero necessarie misure di sostegno all'occupazione (per evitare disoccupazione massiccia che si tradurrebbe in ulteriore calo di domanda) e al reddito dei ceti economicamente più deboli (per evitare che larghe fasce di popolazione vengano di fatto escluse dal circuito dei consumi) e una politica di investimenti pubblici di tipo keynesiano. Tutte misure che trovano ostacolo nelle condizioni della finanza pubblica che, negli ultimi 30 anni, è stata completamente saccheggiata e che non consentono margini se non strettissimi a politiche di sostegno. Ed aggiungo che quando la ripresa internazionale farà sentire i suoi effetti (io prevedo fin dal prossimo mese di settembre), solo le imprese del centro nord saranno in grado di intercettarla perché il paese è sempre più spaccato in due con il solco tra nord e sud che si accentua invece di ridursi.
Sono quindi convinto che anche la "crisi industriale" rientrerà come sta progressivamente rientrando la crisi finanziaria( i mercati finanziari stanno invertendo la tendenza e le borse mondiali si stanno allontanando dai minimi registrati le settimane scorse); rientrerà sia a livello internazionale che interno anche perché in questi ultimi anni il sistema industriale ha dimostrato, malgrado gli elementi di debolezza citati, di saper reggere la concorrenza nonstante il venir meno del vantaggio delle svalutazioni competitive conseguente all'entrata del nostro paese nel sistema dell'euro.
Sono però altrettanto convinto che rimarranno tutti gli elementi di debolezza legati alle condizioni delle finanze pubbliche che richiederebbero, per essere risanate, lunghi anni di sana, lungimirante e onesta gestione (Padoa-Schioppa, prima di lui Ciampi), una politica decisa contro l'evasione fiscale (Visco) e governi guidati da statisti responsabili(Prodi). Segnalo al riguardo, per evidenziare la situazione dei conti pubblici, che a fine gennaio per la prima volta il debito pubblico ha superato i 1.700 miliardi di euro. L'ottimismo ostentato dall'attuale premier è un approccio a mio avviso offensivo e irridente nei confronti delle componenti responsabili del paese e nei confronti dei tanti che hanno concreti e giornalieri problemi economici, ai tanti che stanno perdendo e corrono il rischio di perdere il lavoro, alle sempre più larghe fasce sociali che un liberismo sfrenato ha ricacciato nell'indigenza dalla quale, nel corso del dopoguerra, faticosamente e a pesanti prezzi, si erano liberate.

Il post termina qui.

Il prossimo lo dedicherò al ruolo delle banche nella crisi per poi tentare una sintesi finale alla luce delle argomentazioni che ho cercato fin qui di sviluppare .


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