Visualizzazioni totali

domenica 25 agosto 2013

FINE AGOSTO 2013 - IL PUNTO

Da qualche giorno i temporali hanno fatto dileguare la cappa di afa che ha caratterizzato l'estate, le attività produttive stanno riprendendo, la gente è tutta o quasi a casa ormai. Si avverte un clima di incertezza mista a preoccupazione nei volti e nelle parole di tutti la situazione politica è quella che è, cosa ci aspetta nell'immediato futuro? Si può essere ottimisti alla luce di timidi segnali di ripresa che si intravedono o è ancora buio pesto? Io di solito non sono né pessimista né ottimista, a priori; tuttalpiù fortemente scettico e, comunque, realista. E cerco di vedere le cose sulla base dei fatti e non sulla base di quello che si vorrebbe senza chiedersi se ciò è possibile o no.
Faccio qualche passo indietro per cercare di capire cosa dobbiamo aspettarci.
Divido la storia d'Italia del dopoguerra in tre periodi:
- prima fase dal 1945 al 1970
Il nostro Paese ha vissuto in questi 25 anni la fase di più rapido e consistente sviluppo della sua storia trasformandosi da paese sostanzialmente agricolo e povero a paese a forte vocazione industriale.
Questo risultato è stato frutto, secondo me, dell'azione congiunta di quattro forze, sostanzialmente:
a) il piano Marshall: ormai tutti hanno dimenticato il piano marshall ma bisogna riconoscere agli Stati Uniti un ruolo molto importante nella ripresa del primissimo dopoguerra. A Yalta le potenze ormai vincitrici avevano già stabilito che l'Italia rimanesse "di qua". Ciò non toglie che si deve riconoscere a De Gasperi e a Saragat - in primis - il merito di avere condotto con equilibrio il ritorno del Paese alle normali relazioni internazionali
b) una imprenditoria privata motivata, dinamica, capace.
Il ruolo di Fiat, Pirelli, Olivetti, Montedison, Italcementi, Gruppo Borghi, Zanussi, Ferrero, Ferrari, Barilla, Lucchini e tanti altri è indiscutibile. Non c'è crescita, non c'è sviluppo se non c'è una economia forte, competitiva e che crede in quello che fa. 
c)  sistema delle partecipazioni statali: IRI ed ENI, in minor misura Efim, hanno creato milioni di posti di lavoro. L'Eni ha assicurato, sotto la guida di Mattei, una politica di approvvigionamento energetico non subalterna e ha creato centinaia di migliaia di posti di lavoro "veri", portando attività industriali in luoghi dove l'industria non esisteva (basti pensare ai poli petrolchimici in Sicilia e in Puglia). L'IRI è stato il grande motore dello sviluppo industriale del Paese in settori importanti:
- cantieristica con l'Italcantieri a Trieste e Genova
- siderurgia: basti pensare ai poli di Genova, Terni, Napoli, Taranto dell'Italsider
- settore difesa e spazio: con Finmecanica
- infrastrutture con la società Autostrade
- energia con l'Ansaldo
- media con la RAI
ed altri
d) le multinazionali che in quella fase delocalizzavano da noi. Non dimentichiamo che Philips fabbricava televisori a Cinisello Balsamo, che IBM occupava negli anni 60 15.000 persone, che la Hoechst aveva un importante pol farmaceutico in Abruzzo e così via.
In questi venticinque anni si sono accumulate risorse per mettere in piedi lo stato sociale (pensioni, assistenza sanitaria, scuola), per dotare di infrastrutture il Paese(la rete autostradale se non avessimo la quale saremmo completamente tagliati fuori), il tunnel del Monte Bianco, i porti.
Alla fine di questa fase l'Italia si trovò con un apparato industriale importante, con infrastrutture adeguate, con un giusto mix tra grande industria e picola/media).
Inoltre, sulla spinta di sollecitazioni sia interne che esterne si dotò di una legislazione in linea con i Paesi iù avanzati su importanti aspetti della vita sociale. Sono di quegli anni lo statuto dei lavoratori, la legge Basaglia, la legge sul divorzio e tante altre.
Da sottolineare infine che tutto questo fu finanziato praticamente senza ricorso al debito pubblico; nel 1946 il rapporto debito/pil era del 40,02. Nel '70 era sceso al 37,11
Vedo che il post sta venendo troppo lungo. Lo spezzerò in due o tre parti. segue

Nessun commento:

Posta un commento