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domenica 13 maggio 2012

IL GOVERNO MONTI - LE MISURE A SOSTEGNO DELLA CRESCITA

Riprendo con l'esame e il conseguente mio giudizio sull'operato del governo Monti.. Avevo lasciato il mio post di Domenica 6 Maggio al punto: "ci rimangono da affrontare due argomenti: le misure per la crescita ed il ruolo delle banche"
Due argomenti di peso, direi
Cominciamo con il primo facendo una premessa. Come fino a sei mesi fa nessuno sapeva niente dello spread che è ora diventato argomento di conversazione comune, così il tema della "crescita" è diventato solo in queste settimane una specie di "mantra"che i media ci rovesciano addosso ogni giorno.
Facciamo un po' di ordine. Col dire che a grandi linee ci sono due scuole di pensiero in ordine alle misure da adottare per affrontare e risolvere i problemi della crisi:
. la prima, nella quale si riconoscono principalmente le autorità monetarie (Bundesbank) ed il governo tedeschi, sostengono che senza una politica di rigore nel governo dei conti pubblici non si può fare nessuna politica  economica di lungo respiro per cui viene data assoluta priorità ai temi del rigore dei conti, dell'equilibrio di bilancio, del contenimento dell'inflazione, del rispetto delle regole di Maastricht che, in effetti, tutti gli Stati hanno accettato nell'aderire all'Unione europea e all'area euro. Il professor Monti in linea di principio sarebbe vicino a questa linea
- la seconda che, pur avendo chiari gli obbiettivi, sostiene che se si "strozza" troppo l'economia si rischia di trovare un malato senza febbre ma................morto. Per cui ritiene che debbano essere messe in moto una serie di misure atte a sostenere la crescita anche a scapito di un più rapido raggiungimento degli obbiettivi di risanamento. Una politica latu sensu "keynesiana"che non guardi agli equilibri di bilancio come a un vincolo assoluto. Il politico Monti sta cominciando a tener conto anche di questo aspetto.
Apro una parentesi su John Maynard Keynes, Carneade fino a poche settimane fa ed ora gettonatissimo.
Keynes è un economista inglese, nato nel 1883 e morto nel 1946, che nel 1936 riunì nella sua "Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta" i princìpi della sua visione economica che si sostanziano nella affermazione della necessità dell'intervento pubblico nell'economia, con misure di politica fiscale e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregata non garantisca la piena occupazione. Chi scrive sarebbe in linea di principio favorevole a questa scuola di pensiero ma con un MA grosso come una casa per quanto attiene al nostro Paese. Si può fare, si deve fare per  fronteggiare una crisi congiunturale in un'economia sostanzialmente sana e gestita da persone serie e competenti. Ma con un debito di duemila miliardi e con l'economia data in mano a Berlusconi e a Calderoli difesi a spada tratta da Scilipoti e De Gregorio, altro che Keynes ci vuole. Ci vuole prima di ogni altra cosa una rigenerazione morale, una palingenesi etica, come sostengo da tempo, e che ritengo "conditio sine qua non" di tutto.
Ma al riguardo ho poche speranze e parecchi dubbi.
Dunque misure a sostegno della crescita, invocate peraltro non solo in Italia.
In effetti se il PIL (anche lui ormai più conosciuto dei pelati Cirio) non cresce mancano le condizioni oggettive per iniziare un risanamento. Cosa si deve fare ,allora?
 Una ulteriore ma necessaria premessa, innanzitutto. Nel dopoguerra l'Italia ha conosciuto 25 anni di continuo e rapido sviluppo (dal 45 alla fine anni sessanta) per effetto dell'azione concomitante di tre soggetti.
- una imprenditoria piena di voglia di fare e di mettersi in gioco.
- il sistema delle partecipazioni statali che aveva creato centinaia di migliaia di posti di lavoro in particolare nelle regioni del Sud.
- il sistema delle multinazionali che allora "delocalizzavano" da noi
Ora di questi tre soggetti, le multinazionali da tempo hanno spostato l'attività produttiva altrove, il sistema delle partecipazioni statali non c'è più (rimaneva FINMECCANICA che è stata spolpata come mai da dirigenti incapaci e corrotti)), ed il sistema delle imprese è ridotto in quantità, è concentrato in alcune regioni del centro nord ed è oggettivamente meno vitale e motivato rispetto a cinquanta anni fa.
Vedo che ho messo parecchia carne al fuoco. Per ora mi fermo qui. La seconda parte in un nuovo post.

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