Stamattina mi sono svegliato con nitide davanti agli occhi le immagini di un lungo sogno che avevo fatto. In genere non ricordo mai quello che sogno per cui l'avvenimento era già di per sè straordinario. Ma ancor più straordinarie e significative le immagini che mi scorrevano davanti agli occhi. Mi trovavo in un ambiente oscuro, come una sala cinematografica durante la proiezione, e dal buio è emerso per primo il volto del nonno materno di mia moglie, Amerigo. Io non l'ho mai conosciuto perché quando è venuto a mancare, nel 1979, non conoscevo ancora mia moglie. Ho visto però molte fotografie in cui era ritratto o da solo o insieme ai suoi cari; l'ho riconosciuto subito. Di Amerigo ho già parlato in un post del 1 Maggio scorso. Nato nel 1900, fu tra i fondatori del Partito Comunista Italiano a Livorno. Conobbe il carcere ed il confino, camminò per buona parte della sua vita con scarpe ortopediche perché lo avevano sprangato, i fascisti , sulle piante dei piedi. Morì il 1 Maggio 1979.
Aveva un'aria triste, direi meglio, desolata. L'ho salutato. Buon giorno Amerigo, come va)? Mi ha risposto a fatica. Non lo so come va; io so solamente che ho dedicato tutta la mia vita alla causa di una società più giusta, senza sfruttatori e senza sfruttati, so che ho pagato prezzi molto alti. Li pagherei di nuovo, ma quello che non mi fa dormire alla notte è il dover constatare che non è servito a niente, che le nuove generazioni conoscono solamente a grandi linee e a volo di uccello la storia più recente del loro Paese, che i germi fascisti si annidano nel tessuto profondo ed è difficilissimo liberarsene, che la gente ha dimenticato Matteotti e tanti altri e non sa quanto abbiamo dato e quanto abbiamo sofferto. E nessuno fa niente, nessuno fa niente.
Che rispondergli? Ha ragione, Amerigo, ha completamente ragione ed lo sguardo con il quale Lei ha accompagnato il suo cenno di saluto è il silenzioso ed il più eloquente atto d'accusa nei confronti di noi che siamo venuti dopo e che non abbiamo saputo o voluto lottare per difendere le conquiste per le quali in tanti avevate dedicato le vostre migliori energie.
Dopo Amerigo è emerso dal buio mio zio Alberto, fratello di mio padre Igino. Non ho mai conosciuto nemmeno lo zio; nato nel 1910 (mio padre, il minore, nel 1912) è caduto sul fronte albanese-montenegrino nel 1943. Il corpo non è stato mai ritrovato. Risulta che, fatto prigioniero insieme ad altri, nel momento in cui le truppe slave hanno iniziato una ritirata, lui e gli altri siano stati eliminati con un colpo alla nuca. Quattro anni dopo sono nato io ed è stato "ovvio" darmi il nome dello zio.
Pur non avendolo conosciuto personalmente l'ho riconosciuto subito tante sono le foto che ho visto fin fa piccolo che lo ritraggono o da solo o insieme a mio padre o in gruppi di famiglia.
Lo zio aveva uno sguardo perplesso. Come va zio, gli ho chiesto. Ti vedo triste e, ancor più, perplesso. Come vuoi che vada. Qua ci si annoia. Sono perplesso sì. Tu sai che noi Pirani negli anni 30 non eravamo proprio fascisti ma, insomma, non eravamo nemmeno contro. Il lanificio andava bene...e, sai. Lo avevo capito, zio, guardando delle foto in cui eravate tu, babbo, zio Domenico(dei tre il più anziano). Eravate ben vestiti, perfino belli secondo i canoni del tempo (le ragazze di oggi direbbero che facevate schifo), si vede che eravate "messi bene" e quindi capisco che non avevate grossi motivi di lamentela nei confronti di chi governava. Zio Domenico, poi, lui era proprio convinto, non puoi negarlo. Quando da piccolo andavo a casa sua vedevo tante "fiammelle" intagliate su un tavolo da lavoro dipinte come i colori della bandiera. Io non capivo; ho chiesto a babbo...........ma lui è stato evasivo. Quanto a babbo, io l'ho conosciuto come "liberale", Malagodi, Pella. Tuo padre è sempre stato molto "prudente". Ho sorriso; diciamo che il coraggio non era la sua dote principale. Ma perché sei perplesso? Lo sono perché, come dicevo, non ero contrario in linea di principio. Poi nei lunghi mesi di prigionia e poi......dopo, con tutto il tempo che ho, ho riflettuto a lungo. Io sono andato a morire in un paese straniero, in quella maniera in cui ho concluso il mio viaggio............... ti assicuro che se morire è sempre difficile per tutti, per me lo è stato particolarmente, in quel modo. Sono andato a morire là, dicevo, per le manie di grandezza di un uomo che pensava soltanto al suo ego. Avevo trentatre anni; avevo ancora tutta la vita davanti. Perché, mi sono chiesto per tanto tempo, perché, perché. Poi mi sono rassegnato ma speravo che non sarebbe più successo............e invece. Ma possibile che nessuno apra gli occhi, che nessuno faccia qualcosa? Ecco perché sono triste e perplesso.
Infine è emerso dal buio un volto di un uomo giovane, più vicino ai venti che ai trenta; aveva un sorriso malinconico. Non l'ho riconosciuto subito, anzi per un bel po' di tempo mi sono chiesto chi fosse. Poi un flash............Ho visto la foto di un partigiano fucilato nel '44 dai fascisti ad Ostra. Sì, sono proprio io. Il mio sorriso è triste, lo hai notato subito. E come potrebbe essere altrimenti. Sono morto a ventidue anni fucilato contro un muro perché ritenevo fosse mio dovere fare qualcosa. Ero bello, piacevo alle ragazze. Avevo tutta la vita davanti Adesso ho un sorriso triste ma per tanto tempo sono stato incazzato mica poco. Ma i miei coetanei di oggi cosa fanno? Possibile che non abbiano uno scatto d'orgoglio, un gesto, una presa di posizione, che so?
I tre volti sono per un attimo scomparsi alla mia vista e subito dopo riapparsi tutti e tre insieme con uno sguardo severo e corrucciato, un atto di accusa silenzioso ma inequivocabile.
Mi sono svegliato con una grande amarezza in bocca e mi sono messo a scrivere quello che avete appena letto. Si sa che i sogni bisogna fissarli subito perché altrimenti svaniscono.